Tour della Valle d’Itria

La Valle d’Itria, il territorio dei trulli per antonomasia, e in realtà una splendida conca carsica (a causa della natura calcarea delle rocce locali), sull’incantevole altopiano delle Murge sud-orientali, in cui si incrociano tre delle province della Puglia: Bari, Taranto e Brindisi.

Il nome “Valle d’Itria” deriva dal culto orientale dei monaci basiliani della Madonna Odegitria (ossia, colei che indica la via), protettrice dei viandanti.

Nello specifico, la storia ricorda come il medievale sito monastico di Santa Maria d’Itria o Idria sorgeva ai limiti dell’agro monopolitano (territorio di Monopoli) e, costituiva uno dei beni posseduti dai Basiliani di Casole (o del famoso cenobio di San Nicola di Casole, fondato nel 1099 dal monaco greco Giuseppe, sotto la regola di S. Basilio, in Terra d’Otranto).

Di modesta superficie, l’insediamento basiliano di S. Maria d’Idria era concentrato in una chiesa rupestre (1200), in locali adibiti a grancia ed una contigua cappella-grotta, nominata Santa Maria d’Itria, nella quale era venerata, in un affresco tardo bizantino, la Madonna Odegitria.

In questa culla si racchiudono storie e tradizioni di contadini e signori dell’antica Puglia.

La storicità di questo territorio si riscontra non solo dalla presenza di strutture create dall’uomo, ma anche dai secolari ulivi, vere e proprie sculture d’arte donate dalla natura.

Porgendo uno sguardo dall’alto della Valle, si resta incantati dal gioco di colori, il rosso della terra, il verde della rigogliosa natura e il bianco della pietra. È caratterizzata da una vegetazione rigogliosa, dominata dall’olivo, coltivato nelle antiche masserie fortificate, simboli architettonici della borghesia latifondista. Una delle caratteristiche peculiari di queste grandi distese di terra è l’immensa varietà di muretti a secco che cingono valli sempre verdeggianti e piccoli vigneti, da sempre fonte di prestigio e ricchezza per la nostra Regione.

Lungo le coste, invece, vi sono numerose tracce delle antiche civiltà messapiche, di villaggi rupestri, di castelli e, non ultimi perchè meno importanti, i sempre vivi e noti trulli.

La Valle d’Itria è ricca di spazi naturali, in cui riscoprire il piacere della tranquillità e del buon vivere. Le più note cittadine Martina Franca, Locorotondo, Cisternino e Ceglie Messapica, sono città riconosciute tra i “Borghi più belli d’Italia”.

La storia ricorda come per secoli, l’economia di questo territorio si sia fondato sulla pastorizia e sull’agricoltura ruotando intorno a piccoli castelli, a masserie fortificate e a villaggi lungo le vie della transumanza importante per l’allevamento e per le attività commerciali con lo spostamento di greggi dall’Abruzzo al Salento attraverso le Murge. Quest’attività avveniva in autunno lungo antiche vie di comunicazione, dette tratturi e carrari, in occasione della quale si organizzavano nei comuni di passaggio vere e proprie fiere allo scopo di sviluppare una fitta rete di scambi proficui sia dal punto di vista economico che culturale.

Il territorio della Valle d’Itria si contraddistingue per la presenza importante dei “trulli”, tipiche ed esclusive abitazioni in pietra a forma di cono; non di meno importanza, sono i numerosi vigneti da cui si ricava un vino bianco di ottima qualità, tra i quali il Locorotondo DOC, e gli oliveti dai quali si produce olio di oliva Extravergine.

La città di Alberobello (BA) è quella che ha come principale peculiarità, il più denso agglomerato di trulli, avendo un intero quartiere, coincidente con il centro storico urbano, costruito integralmente con queste strutture.

Alberobello rappresenta a tutti gli effetti la “Capitale dei Trulli”. Anche nelle zone limitrofi si può osservare la diffusione di questo tipo di costruzione: Locorotondo, Noci e Putignano in Provincia di Bari, Martina Franca in Provincia di Taranto, Cisternino, Ostuni, Fasano e Ceglie Messapica in Provincia di Brindisi .

Proprio negli ultimi decenni del XX secolo, nelle campagne prossime a queste città si è ampiamente diffusa la cultura del recupero e riuso dei manufatti antichi che rappresentano tale area, così da renderli attrattivi per un turismo di alta qualità, che ha di fatto portato investitori stranieri, per lo più inglesi e tedeschi, ad acquistare residenze di notevoli dimensioni e spesso a trasferirvisi anche durante l’anno.

Strutture simili ai trulli
Strutture simili ai trulli si trovano anche nella zona costiera dell’altopiano della Murgia pugliese, a partire dai territori di Monopoli e Polignano a Mare quasi fino a Barletta – rimanendo lungo la costa – e fino ad addentrarsi nell’entroterra dei Comuni della Murgia Nord-occidentale (Bari). Queste costruzioni più vicine al mare ed adoperate per altri utilizzi, presentano evidenti particolari architettonici differenti da quelli dei trulli originali (si differenziano, in primis, per la tipologia costruttiva della volta che è centinata e non più costituita dal conoide autoportante caratteristico del Trullo).

Spostandosi verso il Nord-Barese, più precisamente nella Murgia Nord-Occidentale, si ritrovano numerose strutture a trullo. Mentre i pastori li utilizzavano come ricoveri temporanei, gli agricoltori li impiegavano come depositi di attrezzi oltre che come riparo da improvvisi eventi meteorici. Alcuni sono di fattura molto pregiata e non si esclude che in talune epoche possano aver rivestito ruoli importanti nella difesa del territorio dalle incursioni saracene, altri invece molto per usi molto più semplici.

Contrade della Valle d’Itria
Non distante da Alberobello, si trova la Contrada Monte del sale con un villaggio di trulli ormai abbandonato immerso in un’incantevole paesaggio. Pochi chilometri e si arriva alla Contrada Marziolla, a Locorotondo, con muretti a secco che delimitano boschi, specchie e casolari di pietre, con un trullo solitario, antico circa cinquecento anni. In una posizione centrale nella Valle d’Itria si trova la Contrada Figazzano che ospita un caratteristico presepe vivente durante le feste natalizie. Si giunge infine nella Contrada Pascarosa non distante da Ostuni, con una piccola chiesa.

Alberobello

Il toponimo della cittadina di Alberobello deriva dalla Sylva Arboris Belli (“selva dell’albero della guerra”), ossia un querceto che anticamente ricopriva questa zona della Regione.

Si narra che le origini di Alberobello risalgono al XV secolo sotto il dominio degli Acquaviva, conti di Conversano, ma lo sviluppo urbanistico cominciò a partire dal 1635 ad opera del celebre conte Giangirolamo II detto il “Guercio di Puglia”.

La storia dei trulli e della loro capitale, è legata ad un editto del Regno di Napoli del XV secolo. Sotto il dominio di Andrea Matteo d’Acquaviva, la cittadina di Alberobello iniziò a popolarsi, ma in un clima di mistero e nascondimento, dato che il conte, in realtà, contravveniva alla “Pragmatica de baronibus”, decreto che stabiliva l’obbligatorietà del permesso regio per la creazione di ogni nuovo insediamento urbano. Il centro abitato si sviluppò a partire dal 1635 grazie al conte Giangirolamo, detto il Guercio di Puglia, che incentivò l’incremento della popolazione per creare un feudo indipendente dalla corte aragonese di Napoli. Inoltre, per non pagare le dovute imposte regie per la costruzione di nuove case, ordinò che queste fossero costruite a secco, con l’uso della sola pietra senza calce nè altri materiali leganti.
In caso di ispezione regia le costruzioni sarebbero così state in modo che esse potessero configurarsi come costruzioni precarie, e poter essere demolite, smantellandone la cupola per poi ricostruirla in seguito all’ispezione.
La condizione di totale asservimento al conte, che addirittura esercitava sul popolo il potere di vita e di morte, ebbe fine solo nel 1797 quando un gruppo di coraggiosi e stanchi alberobellesi, si recò a Taranto per chiedere la liberazione al re Ferdinando IV di Borbone; proprio in seguito all’attento ascolto delle richieste degli alberobellesi, il 27 maggio dello stesso anno, il re emanò un decreto con il quale il piccolo villaggio di Alberobello divenne finalmente una città regia con un governo cittadino proprio, libero dai soprusi dei conti d’Acquaviva.

Nei secoli successivi gli alberobellesi portarono avanti la costruzione dei trulli, non solo per risparmiare sui costi, utilizzando la pietra locale, ma anche per la comodità derivante dalla particolare tecnica architettonica che li rende caldi d’inverno e freschi d’estate. Nel 1797 fu creato lo stemma del comune di Alberobello che raffigura una quercia secolare sotto cui lottano un cavaliere con corazza e lancia e un leone, metafora della feudalità. Sulla chioma della quercia volano due colombe, simboli di pace e di amore. La capitale dei trulli, e rinomata per il centro storico dichiarato “monumento nazionale” dall’UNESCO il 5 Dicembre 1996, inserendo questa citta nella lista del Patrimonio Mondiale (World Heritage List) e costituisce un’importante meta turistica per visitatori da tutto il mondo. I principali rioni in cui si divide sono Rione Monti e Rione Aia Piccola, composti interamente da trulli; Alberobello costituisce l’esempio più rappresentativo e pittoresco della “cultura del trullo”: solo qui infatti i trulli si ritrovano raggruppati a formare un vero e proprio paese. Il panorama è meraviglioso, unico nel suo genere, e rende Alberobello una delle cittadine più suggestive e affascinanti del nostro Paese.

Da visitare

Il trullo sovrano
Il trullo più grande del paese è chiamato Trullo Sovrano. Fatto costruire dalla famiglia Perta nella metà del Settecento, questo edificio a due piani è adibito a museo ed è possibile visitarne l’interno, arredato secondo il gusto d’epoca, ricostruito tramite le testimonianze dei più anziani abitanti alberobellesi. Durante il periodo estivo, il Trullo Sovrano ospita manifestazioni quali spettacoli teatrali, concerti di piccole orchestre o formazioni Jazz, serate di cultura e poesia.

La Chiesa di Sant’Antonio 
Sulla sommità del Rione Monti si trova la chiesa di Sant’Antonio, definita “a trullo” perchè ottenuta dalla sovrapposizione e dalla congiunzione delle strutture archittettoniche proprie del trullo, è stata costruita da uno degli ultimi mastri trullari ancora attivi nella cittadina. Fu edificata tra il 1926 e il 1927 su un terreno donato da una cittadina di Alberobello ai sacerdoti Guanelliani. La cupola è a forma di trullo e si inserisce perfettamente con il complesso di edifici circostanti. Il frontespizio è coronato da tre quinte, abbellito da un rosone e da due finestre a tutto sesto come la porta d’ingresso. La chiesa è a croce greca, ha una cupola alta 19,80 metri ed il campanile sormontato da un cupolino di 18,90 m. La chiesa ha subito un completo restauro nel 2004 che l’ha riportata agli antichi splendori.

Il Museo del Territorio di Alberobello
È costituito da un agglomerato di trulli continui e comunicanti, i più antichi dei quali risalgono al sec. XVIII, ubicati tra piazza XXVII Maggio, piazza Mario Pagano e via Lamarmora, in una zona centrale dell’abitato che fa da cerniera tra il centro storico monumentale di Aia Piccola ed il centro storico ambientale di piazza del Popolo.

Il Centro museale 
Il Centro museale ha l’intento di conservare e descrivere la storia dell’area territoriale del comprensorio dei trulli, riconosciuta dall’UNESCO nel 1996 quale patrimonio artistico d’interesse mondiale. Il Museo del Territorio, che ha sede nel complesso abitativo di particolare interesse storico-artistico, denominato “Casa Pezzolla”, ripensa e ricostruisce il sistema socio-culturale in cui è inserito. Dedica particolare attenzione all’ architettura in pietra a secco, facendone conoscere i metodi e le tecniche per la manutenzione e il restauro. Il nucleo centrale espositivo si compone degli elementi essenziali che attengono alla lavorazione della pietra e al trullo: attrezzi, chiancarelle, pinnacoli.

Santuario dei Santi Medici 

L’artigianato e la gastronomia
Viaggiando tra i prodotti ed i lavori dell’artigianato locale, si spazia dalla lavorazione del ferro alla fattura di cesti in legno d’ulivo; dalla lavorazione della pietra alla produzione del tipico vino novello e dell’olio. Anche l’arte gastronomica rappresenta una pietra miliare della cultura Alberobellese. Le tipiche specialità locali prodotte sono: i dolci di mandorle, le pettole, le cartellate e gli amaretti. Inoltre gli abitanti del luogo sono noti per l’abilità nell’arte tessile, tuttora è possibile acquistare capi in lino nelle botteghe situate tra i trulli.

Sagre e Manifestazioni

  • Particolarmente interessante è la festa a fine Settembre in onore dei Santi Medici ad Alberobello
  • Ultimo sabato di Luglio: “Festa sull’aia”
  • Ultimi quindici giorni di Agosto: festival internazionale folcloristico “Città dei Trulli”
  • 21 Ottobre, la “Sagra dei Legumi”
Locorotondo

Locorotondo, dal latino locus rotundus, è un toponimo di origine tipicamente medievale che suggerisce la rotondità del colle dove sarebbe poi sorta questa località che si pone al centro della Valle d’Itria, singolare e fertilissima depressione carsica densamente popolata e punteggiata dalle caratteristiche casedde a “trullo”.

Il paese, arroccato su di un colle, si presenta a pianta circolare, a 410 metri sul livello del mare, con meravigliose ed incantevoli stradine concentriche e radiali sulle quali si innalzano le luminose abitazioni terrazzate, rettangolari, con tetti spioventi detti “cummerse”, realizzati con chiancarelle, di cui è ricco il sottosuolo.

Il centro storico di Locorotondo, dalle stradine e dai muri bianchi di calce, dai balconi in ferro battuto ricolmi di cascate di fiori dai variopinti colori, rappresenta uno scenario romantico ed incantevole, talmente affascinante da ottenere un’importante riconoscimento ed essere entrato a far parte dell’esclusiva associazione “I borghi più belli d’Italia” che raggruppa i paesi più belli del territorio nazionale.

Gli agricoltori edificarono sull’altopiano le prime casupole dell’antico villaggio di Locorotondo, addossandole le une alle altre, secondo una disposizione a pianta circolare, quasi a voler cingere a corona quella terra strappata a boschi di querce e fragni per renderla coltivabile e fertile.

La Storia
Locorotondo nasce per volontà di Goffredo I, conte di Conversano, che intorno al 1100 volle aggregare alla Badia di Santo Stefano di Monopoli alcune chiese e parecchi casali, tra cui quello di San Giorgio. Sui cenni storici di questo paese, due studiosi locali, Padre Serafino Tamborrini di Ostuni (1784 – 1869) e il medico locorotondese Angelo Convertini (1771 – 1831), hanno elargito ricostruzioni storiche a volte ricche di elaborazioni fantastiche forse poco coerenti con la realtà dei fatti.
Entrambi, infatti, fanno risalire la fondazione parecchi secoli prima di Cristo, ad opera di una colonia di greci Locresi. Il primo, basandosi sulla corrispondenza tra le parole Locorotondo e Locros-Tonos, ovvero “forti lo cresi”, afferma che un gruppo di questi, reduci dalla guerra di Troia, si sia qui stabilito dopo essere approdato sulle coste pugliesi a causa di un naufragio. L’altro chiama in causa Periandro Locrese fondatore appunto della città di Locreuse, ossia Locorotondo.
In realtà, i primi insediamenti umani in Locorotondo risalgono al tempo della dominazione Bizantina cessata nel secolo XI con l’arrivo dei Normanni conquistatori. Locorotondo fu dapprima feudo del monastero benedettino di Monopoli, successivamente dei Cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme ed infine degli Aragonesi.

Il centro storico
Il centro storico, murato fino alla metà dell’800 e di impianto approsimativamente circolare, si stringe attorno alla Chiesa Matrice di S. Giorgioinnalzata tra il 1970 e il 1825; l’altra Chiesa, di cui è doveroso citare la bellezza, e quella della Madonna della Greca, eretta in forme gotiche dal Principe di Taranto.

C’è una curiosità da ricordare: LOCOROTONDO e nel guinness dei primati essendo l’unico paese al mondo il cui nome e composto da ben 5 lettere O.

Le contrade
Il Comune di Locorotondo comprende circa 143 contrade ognuna con caratteristiche che valorizzano la storia, la cultura e le tradizioni del territorio.
In realtà la “contrada” è un’unità demografica territoriale e rappresenta, in concreto, un raggruppamento di casedde (a trullo) operanti intorno a spazi comuni.
L’etimologia del nome di tante contrade è ancora sconosciuta, ma in generale, si è cercato di accomunarle in gruppi dai significati simili, e oggi come in passato, ce ne sono alcune che riescono a evocare con i loro toponimi, il fascino – ormai lontano – del tempo passato.

L’agricoltura e la gastronomia
Locorotondo, quale centro agricolo e commerciale, caratteristico per il territorio punteggiato da trulli e vigneti, domina la Valle d’Itria con i suoi 4700 ettari di territorio.
Locorotondo affida all’agricoltura una buona fetta della sua politica economica.
La campagna di Locorotondo è ricca di uliveti e vigneti disposti in maniera assolutamente ordinata, con geometrica precisione. Tra questi pregiati vigneti (Verdeca e Bianco d’Alessano) nasce il Bianco Locorotondo D.O.C., noto ben oltre i confini regionali, che porta con sè la cultura e la tradizione contadina locale.
In primis, tra le principali colture, troviamo la viticoltura. Infatti, da antichi documenti risalenti al XI-XII secolo, si evince che sia la vite, come anche l’ulivo, fossero coltivati in queste terre e come queste due coltivazioni fossero importanti per l’economia della zona.
Tra le altre colture arboree, proprio l’ulivo è da sempre presente nella nostra storia, sin dall’antichità classica, quale fonte di ricchezza per le nostre terre.
In particolare nel territorio di Locorotondo, discrete quantità di ottime olive che frante a regola d’arte nei locali trappeti ci offrono un eccellente olio extra vergine da sempre vanto della cucina locorotondese.
La produzione olearia altamente qualitativa è però insufficiente al fabbisogno locale, per cui a Locorotondo si è sempre venduto vino per acquistare olio.

Per quanto concerne le coltivazioni cerealicole, prevale quella del grano tenero seguita da quella di grano duro (più idoneo per le paste alimentari), oltre ad orzo, avena e foraggio.
Tra le colture leguminose locali, ricordiamo le fave consumate fresche, ma in particolar modo secche; sono invece inferiori le produzioni di fagioli, di ceci, di piselli ed anche di lupini.
Nelle campagne di Locorotondo, inoltre, si ritrovano anche alcuni esempi di specie legnose tra i quali: frutteti di mandorli, di ciliegi, noci, di meli e di peschi.

Locorotondo è famosissima per i suoi ottimi vini e questo le ha dato nei secoli sicuramente moltissimo lustro, oltre che, ovviamente, contribuire ad implementare la promozione di tutti gli altri vini pugliesi in Italia ed all’estero.

Sagre e Manifestazioni

Nel Comune di Locorotondo:

  • 22/23 Febbraio: Locorotondo: fiera mercato in onore del patrono San Giorgio martire e tradizionale cerimonia del dono
  • 23 aprile: la Festa patronale di San Giorgio
  • 6 Agosto: Sagra degli struffoli e delle zeppole
  • 16 agosto: la Festa patronale di San Rocco e la gara pirotecnica
  • 27 Agosto: Sagra dell’Agnello
  • La Festa del vino novello, prevista di solito nella seconda domenica di novembre.

I borghi più belli d’Italia
Il club “I borghi più belli d’Italia”, nato nel 2001 su impulso della Consulta del turismo dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), ha lo scopo di valorizzare il patrimonio storico, artistico, culturale e ambientale dei piccoli centri italiani con iniziative promozionali del territorio, opportunità di commercializzazione dell’offerta turistica locale, delle produzioni tipiche dell’agricoltura e dell’artigianato.

Noci

Noci: “Una città semplice e ordinata, attraente, cordiale e ospitale, un sole tiepido e un’aria salubre tra le più dolci della Puglia… case linde e palazzi, dai colori semplici e sobri non molto alti e, soprattutto, senza grattacieli che mozzino il respiro e rubino ossigeno ai polmoni”. Così descrive Giuseppe Poggi il paese di Noci in un suo racconto, dipingendolo con aggettivi beatificanti e romanticamente pittoreschi.
Meta di turisti e villeggianti per la bellezza del paesaggio, in cui dominano fragni e macchia mediterranea e la salubrità dell’aria (situato a 420 mt slm e con temperatura molto mite, trovandosi a relativa breve distanza dal mare Adriatico e dalla costa Jonica), Noci e una città sicuramente attiva e turisticamente propositiva con varie attrattive per i forestieri.
Il Comune di Noci fa parte Murgia Barese (posta a sud-ovest da Bari) e conta circa 19.500 abitanti. Il suo nome ha origine dalla presenza in loco di un bosco con alberi di noci e proprio tra gli estesi boschi e i verdi pascoli appaiono le caratteristiche case dal tetto coperto da “chiancarelle” e gli infiniti muri a secco, i cosidetti “parieti”, che segnano i confini dei fondi.

La storia
Tutt’oggi, le notizie circa le sue origini storiche non sono molto precise, sia per mancanza di documenti che di fonti attendibili, ma sembra che le sue origini ed il suo sviluppo risalgano all’epoca in cui dei contadini dei casali di Casaboli e Barsento si insediarono intorno a un insediamento militare bizantino di fine 500 denominato Castellum Nucum. A questa popolazione se ne aggiunse, nel 1100, una parte di quella di Mottola (Ta).
Noci, però, acquistò importanza a partire dal secolo XIV, quando fece parte del Principato di Taranto e quando, sotto gli Angioini, diventò Universitas Regia.
Successivamente fu sotto il dominio di Giulio Antonio Acquaviva e fece parte della contea di Conversano. Sotto gli Acquaviva d’Aragona fu elevata a Ducato e seguì le vicissitudini del Regno di Napoli fino all’Unità d’Italia.

Il centro storico
Tra strette stradine e tipiche gnostre, quasi chiostri all’interno dei quali l’antico popolo cresceva e si raccontava, è possibile ammirare la ricchezza intatta dell’architettura spontanea di questo centro storico, singolare per le strutture di antiche dimore, soprattutto quelle di proprietà di contadini. Fantasiosi comignoli in pietra ci offrono atmosfere e profumi arcaici, mentre qua e là, quasi in un si scorgono le tipiche edicole, dedicate soprattutto a S. Rocco protettore e alle madonne di Noci.

Da visitare
Tra gli edifici più antichi nel cuore della città, in Piazza Plebiscito, la Chiesa Madre, dalle antichissime origini, mostra la sua lineare facciata gotico romanica. Dedicata a Santa Maria della Natività e voluta da Filippo I d’Angiò (XIV sec., con interventi successivi. XV-XIX sec.), nel corso dei secoli ha subito notevoli rifacimenti e conserva al suo interno numerose opere d’arte. Da notare il bel portale ed il rosone sulla facciata; all’interno, il monumentale polittico in pietra policroma, opera della locale scuola di Nuzzo Barba di Galatina (XV sec.) e la Madonna in trono con Bambino, di Stefano da Putignano (XVI sec.).
Di fronte, l’alta Torre dell’orologio, con i suoi 30 mt di altezza e l’elegante coronamento di gusto neoclassico (XIX sec.), alla quale s’innesta il cinquecentesco Palazzo della Corte e del teatro. Chiese e cappelle impreziosiscono l’intero paese, inoltre palazzotti signorili con portali eleganti sormontati da stemmi nobiliari e chiese sparse lungo tutto il territorio, arricchiscono la città.
Inoltre, sono di notevole importanza, la Chiesa di S. Stefano (XV sec., con campanile a vela e tetto a chiancarelle) e la Chiesa del Carpione, elegante nel suo stile barocco (XVII sec.). Un po’ fuori dal centro storico si ricorda il complesso monumentale di S. Domenico (da non perdere il portico e il chiostro del conventi, XVI-XVIII sec.) e la Chiesetta di S. Maria degli Angeli, unica per il campanile a vela e la struttura a trullo, con tipico tetto conico e chiancarelle (XVI sec.)
Il Santuario della Madonna della Croce (1483), patrona della città e meta da secoli di un sentito pellegrinaggio a piedi, è situato a circa un km dalla cittadina ed è stato costruito nel XV secolo nel luogo in cui fu rinvenuto, in circostanze misteriose, un affresco raffigurante la Vergine Maria.

Il Barsento
Nell’oasi di Barsento (a 6 km), in cui sono state trovate tracce di un antico abitato messapico, unitamente ad altre che attestano la frequentazione in epoca romana del sito, la Chiesa di Barsento riveste grande importanza storico-artistica. Questa chiesetta particolarmente suggestiva, è un’antica dipendenza dell’abbazia benedettina di Banzi (PZ), e recentissimi studi, con l’ausilio dei risultati provenienti dai lavori di restauro, hanno collocato questa chiesa fra XI e XII secolo nel quadro dell’architettura medievale pugliese, caratterizzata dai tetti a spiovente a chiancarelle.
Il bellissimo centro storico del Barsento è caratterizzato da piccole vie e tipiche gnostre, dove è possibile ammirare le bellezze e le architetture di antiche dimore, soprattutto di contadini.
Qui, infatti, si possono ammirare le tipiche edicole, dedicate soprattutto a S. Rocco protettore e le madonne di Noci. In questa zona di Noci si concentra anche il centro degli storici palazzi nobiliari: architetture austere ed eleganti, dove la pietra della Murgia incontra anche il ferro di artistici balconi e finestre.
Infine, non si possono dimenticare le stupende masserie presenti nel circondario cittadino, che rendono ancora più accogliente e piacevolmente sorprendente la permanenza sul territorio.
A pochi km. da Noci, sulla via per Gioia del Colle, sorge la moderna abbazia benedettina della Madonna delle Scala, con una chiesetta romanica del XII secolo, dove dei monaci benedettini si dedicano al restauro del libro antico, al canto gregoriano e alla lavorazione dei prodotti della terra.

La Gastronomia
Oggigiorno, Noci è nota anche come “Città dell’Enogastronomia”. Le abbondanti produzioni casearie e la riscoperta di antiche ricette, sapientemente riproposte dai ristoratori locali, hanno dato nuova vitalità all’attrazione turistica del paese che può contare anche su una moderna industrializzazione.
La cultura del buona cucina e del buon mangiare sono ravvisabili in numerose prelibatezze gastronomiche: eccellenti i latticini (la treccina) dei maestri casari locali, fra i migliori di Puglia; gli allevamenti bovini, che hanno favorito la produzione di insaccati (“coppa della Murgia“), e di buonissimo cioccolato, fatto col buon latte della Murgia.
Tra i piatti tipici più rinomati della cucina nocese si ricordano: le cicorielle in timballo, la zuppa di “lambascioni”, le orecchiette o frusciddi caserecci con sugo di ragù di braciola di vitello o di coniglio, la farinella di orzo e ceci abbrustoliti e piatti di arrosto di agnello, squisiti dolci ed il rosolio casalingo.

Sagre e Manifestazioni
I patroni di Noci sono la Madonna della Croce (3 maggio) e San Rocco(prima domenica di settembre).

Sagre

  • “Sagra dei funghi” (ottobre)
  • “Bacco nelle gnostre e vino novello in sagra” (metà novembre)
  • “Pettole” nelle gnostre e cioccolata in sagra (metà dicembre)Manifestazioni
    • Venerdì Santo: processione di Cristo Casaboli e dei Misteri
    • 2/3/4 Maggio: Festa patronale di Maria SS. della Croce
    • 31 Maggio: Festa campestre presso il Santuario della Madonna della Croce
    • 23/24 Giugno: Notte di serenate e festa di San Giovanni
    • Prima domenica di settembre: Festa patronale di S. Rocco
    • Seconda domenica di ottobre: Festa della Madonna del Rosario e dei Santi Medici
Ceglie Messapica

Così si presenta Ceglie Messapica, situata in provincia di Brindisi, le cui origini etimologiche possono ricercarsi sia nella parola greca Kalos (bello), così da essere identificato quale “luogo bello”, che nella scelta fatta dai romani, che la chiamarono Caelia (ciglio) per essere sulle ultime propaggini collinari delle Murge, là dove la Valle d’Itria confluisce dolcemente nella piana salentina.

La graziosa cittadina di Ceglie Messapica è posizionata a 310 metri di altitudine (il centro storico a 303 metri) e conta 21.000 abitanti. La cittadina gode di un ottima posizione climatica, tanto che già dagli inizi del secolo scorso gli abitanti delle città vicine (in particolare Taranto), l’avevano scelta come meta di soggiorno estivo per la sua aria salutare e spumeggiante, e i suoi panorami ondulati e rilassanti.

Il territorio cegliese, che risulta vasto 130,33 kmq, con una altitudine che va da 133 metri ai 382 metri sul livello del mare, si presenta con dolci colline e terrazzamenti con muretti a secco, e con i numerosissimi trulli che qui vengono chiamati “casedde”. Parte del territorio comunale si situa nella Valle d’Itria, la valle dei trulli per antonomasia, e proprio la splendida Ceglie Messapica segna lo sbocco della valle nella parte alta della piana salentina Altosalento. Il territorio presenta numerose cavità carsiche con splendide concrezioni, come le grotte di Montevicoli.

Dagli anni 90 la città messapica si fregia dell’appellativo di “città d’arte terra di gastronomia” per le tante testimonianze della sua storia millenaria e per la gastronomia tipica, apprezzata e riconosciuta in tutta Italia. Le produzioni gastronomiche tipiche sono antiche tradizioni culinarie che rappresentano l’espressione della relazione fra natura e cultura popolare.

Storia 
Le origini della città si perdono nella notte dei tempi: lo storico Ateneo ipotizza che nel XVII sec. a.C. i primi coloni greci si trovarono di fronte a imponenti rovine che testimoniavano una civiltà scomparsa; alcuni studiosi sostengono che Ceglie sarebbe stata fondata da Diomede, di ritorno dalla guerra di Troia.

Le notizie certe, comunque, risalgono a tredici secoli a.C., come tramandato da Erodoto, storico greco del V secolo a.C.. Nel IV e V sec. a.C. Ceglie (Kailia) fu la capitale militare della Messapia ed era cinta da ben quattro cerchie di mura. La città sostenne dure guerre con Taranto che per ragioni commerciali e di prestigio cercava uno sbocco sull’Adriatico. Il 473 a.C. fu l’anno decisivo che vide Taranto conquistare e distruggere Carovigno (Karpina), ma la battaglia decisiva veniva persa dai tarantini sulle colline cegliesi dove la cavalleria tarantina veniva polverizzata da una strage inesorabile, come dice Erodoto, ” mai veduta prima di allora”. La strada dell’Adriatico veniva definitivamente sbarrata a Taranto che da allora non mosse più guerra contro i Messapi. Di quella vittoria i Messapi non vollero approfittare, sarebbe stato facile scendere nella piana e conquistare Taranto.

Di quel tempo rimangono resti archeologici fra cui le mura messapiche e le specchie. Della civilta’ messapica si conservano numerosi reperti archeologici quali vasi, lucerne, monete, piccole statue e molte iscrizioni conservati in vari musei italiani e stranieri (Berlino, Brindisi, Taranto,Egnazia, collezioni private e una piccola parte nel locale museo messapico).

La città decadde dopo la conquista romana, che la chiamarono Caelia o Caelium (ciglio), essendo situata sull’ultimo colle alto prima della pianura salentina.

Nel Medioevo la città assunse il nome di Celie de Gualdo (Ceglie del bosco), divenendo ducato con i Sanseverino, potente famiglia napoletana che favorì la crescita economica e culturale della città anche con la costruzione di palazzi, del castello e di chiese.

Tracce del differente popolamento e della frequentazione del territorio permangono in varie grotte i cui ambienti sono stati in parte modificati ed utilizzati dall’uomo: Grotta S. Pietro ha fornito manufatti certamente correlabili ad una industria litica di tipologia musteriana; la Grotta Abate Nicola ha un dromos di accesso scavato nella roccia ed ha restituito materiale votivo caratteristico delle aree sacre; la Grotta S. Michele conserva ancora tracce di affreschi del Redentore, di S. Michele e della Madonna Orante; la Grotta di Madonna della Grotta è una cavità sottostante la chiesa trecentesca edificata da Domenico de Juliano con all’interno pallide tracce di affreschi basiliani; la Grotta del Trappeto è in pieno centro abitato, utilizzata fino a pochi anni or sono come frantoio, ha una serie di diramazioni mai esplorate per intero; la Grotta di Monte Vicoli, esplorata nella sua cavità principale lunga 58 metri, presenta diramazioni per il momento impraticabili che lasciano intuire possibilità di prosecuzione.

Centro storico 
Nei centri storici la scoperta è in ogni angolo, in ogni vicolo; case bianche intorno ai castelli, e sontuosi palazzi gentilizi con ampi portali sovrastati dagli stemmi di famiglia.

I centri storici collinari dell’Altosalento (Ceglie, Cisternino, Carovigno, Ostuni) si caratterizzano per i vicoli di chianche, gli archi in pietra viva, il susseguirsi di corti e piazzette; il tutto avvolto nel candore del bianco delle case imbiancate a calce. Quel bianco che ha portato Ostuni (che dista solo 11 chilometri) a essere conosciuta in tutto il mondo come la “città bianca”.

Simile al centro storico di Ostuni, ma meno noto turisticamente, pertanto più autentico, è il centro storico messapico e medievale di Ceglie Messapica: la messapica kailia. Una passeggiata fra i vicoli del centro storico immerge in un’atmosfera antica e surreale che spazia dal tempo dei Messapi all’epoca medievale.

Alla collina-acropoli messapica si accedeva mediante una ripida scalinata, ancora esistente sia pur modificata in epoca medievale, “i cento scaloni”. In cima alla collina, dove è ubicato il castello, si trovavano gli uffici pubblici e i templi delle più importanti divinità; l’agorà è stata individuata nell’attuale piazzetta Ognissanti nel centro del borgo antico. Oggi il centro storico messapico-medievale, è dominato dal quattrocentesco “Castello Ducale”, notevole la merlata torre quadrata simbolo della città. Di fronte si trova la Chiesa Collegiata del XVI sec., poco distante la chiesa barocca di San Domenico della scuola del Bernini. La centrale Piazza Plebiscito, con la caratteristica “Torre dell’orologio” chiude il centro storico medievale e apre a quello ottocentesco.

La Gastronomia 
La gastronomia è un elemento di forte richiamo turistico. La cucina dell’Altosalento è casereccia e genuina, nel tempo non ha subito sostanziali alterazioni; le ricette sono state tramandate di generazione in generazione, fino ai giorni nostri. E’ una cucina popolare, le cui caratteristiche sono ben lontane da quelle dei fast food e della globalizzazione alimentare. Non a caso esiste una associazione slow food Alto Salento, che propone il “mangiare lento” per godere dei piaceri della buona tavola. La nostra è una terra da gustare, dove la bellezza del territorio si sposa con il gusto di vivere, un “slow life” che fa ritrovare il senso della vita.

La cittadina è la capitale indiscussa della gastronomia dell’Altosalento con numerosi riconoscimenti avuti già negli anni 50 e più recentemente con vari premi assegnati agli “artigiani del gusto e della buona tavola”. Molti ristoranti sono segnalati nelle principali guide enogastronomiche, i forni a legna producono artigianalmente pasticceria tipica e prodotti da forno distribuiti in tutta Italia, il gelato artigianale cegliese conquista, in una passata edizione, il secondo posto assoluto alla fiera di Rimini nell’ambito del Salone Internazionale della Gelateria.

Piatto tipico per eccellenza è la pasta fatta in casa, “stacchiodde” e “strascinati” (orecchiette e maccheroncini di semola di grano duro integrale), condita con sugo di pomodoro, foglie di basilico e ‘cacioricotta’ grattugiato. Di questo piatto ci sono varianti con ragù di braciole di cavallo e formaggio pecorino grattugiato, o con verdure cotte (cime di rape).

La nostra cucina è legata profondamente ai prodotti della terra, e segue il ritmo delle stagioni; è estremamente varia per le influenze che l’Altosalento ha ricevuto nel corso della sua lunga storia: messapi, greci, romani, normanni, arabi, saraceni, francesi, spagnoli si sono succeduti nei secoli. Ecco qualche esempio: le “frise” hanno origine greche, gli “gnummarieddi” sono romani, il “ragù” è normanno, la “cupeta” ed i “fichi secchi” sono di origine araba. Le frise (collegamento con prodotti da forno), preparate con farine miste di grano duro e grano tenero, si presentano come ciambelle di pane biscottato e si conservano per settimane; per gustarle bisogna immergerle in acqua, per renderle soffici-croccanti, e condirle con pomodori, olio, sale e origano. Gli gnummarrieddi sono involtini di agnello alla brace. La cupeta, simile al torrone, è fatta con le mandorle e zucchero. Il dolce simbolo, a base di mandorle locali (viene utilizzata una varietà di mandorle detta cegliese che si caratterizza per la fioritura tardiva che sfugge ai freddi invernali), è un pasticcino a forma di cubetto dal colore bruno farcito con marmellata: il “biscotto cegliese”, la cui ricetta originale con i giusti dosaggi e tempi di cottura è gelosamente custodita da pochi eletti. I fichi divisi a metà si essiccano al sole sopra caratteristici graticci, in seguito si uniscono a coppia, deponendo all’interno di ogni parte una mandorla secca sbucciata e tostata, dei semi di finocchio selvatico e della scorza di limone, quindi si infornano: ecco i “fichi maritati” (fichi mandorlati).

Fra i formaggi spicca il “cacioricotta”, è un formaggio tenero e gustoso prodotto nella stagione calda e ottenuto dalla lavorazione del latte di pecora e capra; si utilizza grattugiato per condire qualsiasi tipo di pasta al sugo.

Legumi, verdure, ortaggi e frutta sono produzioni locali utilizzati per piatti semplici e nutrienti nel rispetto della sana dieta mediterranea. Il purè di fave è un piatto antichissimo, tipico alimento dei contadini, ricco di proteine; le fave secche sgusciate vengono cotte e passate tipo puré, si mangiano con un filo di olio di oliva crudo o accompagnate da verdure selvatiche. Per la cottura si impiegavano recipienti di terracotta fabbricati nella vicina Grottaglie, come “a pignata”, a forma di brocca.

L’Altosalento è l’area geografica non soltanto più a nord, ma anche a più alta altimetria del Salento (alto-Salento appunto) e presenta caratteristiche fisiche, culturali, sociali ed economiche simili, ma nel contempo diverse, dal Salento leccese e dalle Murge dell’entroterra barese e tarantino. Il nostro è un territorio che nel corso dei secoli ha consolidato una sua identità, resa unica dalle tracce ben visibili della nostra civiltà contadina fondata sulla “pietra” e che ha prodotto un’architettura rurale unica. l’Altosalento è la risultante di una evoluzione organizzativa del territorio, il cui fulcro centrale è rappresentato dai cinque comuni trattati in questo sito, peraltro già uniti in un consorzio intercomunale.

Da visitare 
Simbolo della città è il Castello Ducale, di fronte si trova la cinquecentesca chiesa Collegiata dell’Assunta con la cupola maiolicata e, all’interno, singolare, un affresco del 700 che raffigura una scena biblica con veduta prospettica di Ceglie così come era nel 700.

Non lontana la chiesa barocca di San Domenico, della scuola del Bernini, che conserva alcune pregevoli opere di arte sacra. Nel centro storico numerosi i palazzi gentilizi, in particolare nei pressi della trecentesca “piazza vecchia”, l’antico centro cittadino in epoca medievale. Al centro storico antico, messapico-medievale, si accede dal borgo ottocentesco e dalle porte di Giuso e del Monterrone con archi a sesto acuto.

Centro della città di Ceglie è Piazza Plebiscito con la ottocentesca Torre dell’orologio che rappresenta un unicum nell’ambito delle torri civiche del Mezzogiorno d’Italia, in quanto risulta formata da quattro quadranti; artisticamente si rifà allo stile neoclassico interpretato in una maniera particolare dai locali maestri che eseguirono i lavori.

Da segnalare l’antica chiesa basiliana di Sant’Anna con un grande affresco cinquecentesco della morte della santa, la chiesa di San Rocco costruita sui resti di un antico tempio dedicato ad Apollo e la chiesa di San Gioacchino con la grande cupola.

Nel territorio chiese cripte basiliane, resti della civiltà messapica e numerosissimi esempi di architettura rurale.

Sono, dunque, numerose e varie le testimonianze d’arte tante da meritare alla città l’appellativo di “città d’arte e terra di gastronomia”.

Castello ducale 
Il Castello Ducale di Ceglie Messapica è il simbolo della città. E’ un maniero che risale, la torre più antica, all’anno 1000, ma la costruzione, così come la vediamo oggi, risale al XV secolo ad opera della famiglia Sanseverino.

L’accesso si caratterizza per un ampio portale con arco a tutto sesto e un ingresso con volta ogivale che immette in un ampio atrio; da qui suggestive scalinate, portano ai saloni impreziositi da affreschi cinquecenteschi. Nell’atrio, particolare, il pozzo con due colonne di stile corinzio.

Gli appartamenti ducali si affacciano sul parco interno che, protetto e racchiuso fra le ali del castello, conserva l’originalità dei giardini medievali.

Caratteristica peculiare del castello è la torre merlata, che svetta in cima alla collina; è alta 34 metri e fu costruita nel 1492.

La foto, scattata negli anni cinquanta, mostra una veduta della Ceglie monumentale più classica con la torre dell’orologio di piazza Plebiscito, il bianco settecentesco palazzo Lamarina con il balcone in pietra viva, la cupola della chiesa madre e il castello ducale che troneggia con la sua imponente mole.

Dietro al maniero si sviluppa il centro storico messapico-medievale, ancora autentico e godibile, con le sue strette viuzze e le bianche casette, all’ombra rassicurante del castello, come ai tempi medievali.

PRODOTTI TIPICI DI CEGLIE MESSAPICA 

Biscotto cegliese
è un pasticcino prodotto a Ceglie Messapica di colore bruno a base di mandorle tostate, con fragranze di marmellate di ciliege e, appena, di limone; sono ricoperti di una glassa a base di zucchero e cacao. Le mandorle utilizzate sono esclusivamente prodotte dai mandorleti dell’Altosalento, sono una particolare varietà chiamata “cegliese” che si distingue per il guscio semiduro.
I biscotti cegliesi venivano prodotti dalle nostre famiglie contadine in occasione delle feste importanti e dei banchetti nuziali. Sono venduti, in particolare, in tutti i forni, bar e pasticcerie di Ceglie, oltre ad essere offerti in tutti i ristoranti cegliesi. Il biscotto cegliese è candidato per il riconoscimento di prodotto tipico DOP.

Cartiddate
simili a friselle affusolate sono condite con miele, zucchero o vino cotto (concentrato di mosto ottenuto mediante cottura). Cardiddate significa attorcigliate, sono infatti delle strisce di pasta ottenute dall’impasto di farina, olio e vino bianco, larghe un paio di centimetri, curvate e arrotondate per la lunghezza di 15-20 cm. Sono dolci tipici del Natale.

Cacioricotta
ottenuto dalla lavorazione di latte di pecora e di capra, viene prodotto in estate. E’ un formaggio tenero, di colore bianco, prodotto in formelle di 200 grammi circa. Viene grattugiato per insaporire i piatti di orecchiette (è elemento praticamente indispensabile per gustare questo piatto tipico pugliese), va bene comunque per ogni tipo di pasta.

Cupeta
mandorle tritate e impastate con zucchero caramellato e miele.

Frise
sono particolari ciambelle di pane, dure e secche, si conservano per settimane. Per mangiarle si bagnano con l’acqua per renderle soffici e si condiscono con pomodori, origano, olio e sale. In vendita in tutti i forni, salumerie e supermercati del Salento.

Fichi mandorlati
chiamati nel gergo dialettale fichi maritati (fichi sposati). Si tratta di frutti tagliati a metà e lasciati essiccare al sole su graticci di canne (sciaje); poi si uniscono a coppia a formare un otto (si maritano) inserendo all’interno una mandorla secca tostata e semi di finocchio quindi si infornano. I fichi mandorlati rappresentavano, per i bambini altosalentini di ieri, le caramelle di oggi.

Frisedde
classici prodotti da forno, sono taralli con semi di finocchio selvatico.

Olive verdi alla calce
Hanno un sapore di oliva leggermente salata, con un vago sapore di finocchio, mirto e alloro.

Olio DOC extravergine di oliva “collina di Brindisi”
il nostro oro verde, conosciuto in tutta Italia, non ha bisogno di presentazione.

Grano pisato
grano pestato in un mortaio per eliminare la parte esterna più fibrosa, i chicchi di grano devono presentarsi ancora interi per la preparazione di piatti particolarmente gustosi.

Pane casareccio
caratteristica di questo nostro pane è l’utilizzo di farine miste di grano tenero e duro con l’aggiunta di lievito madre naturale. La cottura avviene nei forni a legna in pietra. I panetti di colore bruno possono conservarsi anche per una settimana mantenendo la fragranza originale.

Pecorino di masseria
formaggio di latte ovino dal sapore intenso e piccante quello stagionato, dal gusto delicato il pecorino fresco.

Pettole
simili a polpette, si ottengono con un impasto di farina di grano duro e patate lesse da friggere in olio bollente. Sono tipiche del periodo invernale (Natale in particolare).

Piddica
nel gergo dialettale sta per focaccia, ottima appena sfornata dal forno a legna. Fra gli ingredienti oltre alla farina di grano tenero e al nostro olio extravergine DOC collina di Brindisi, indispensabili le olive nere, la ricotta forte (asckuante) e le cipolle.

Piddichedda
grande tarallo pasquale ricoperto di zucchero fuso (tipico di Ceglie)

Pummidori di pennula
pomodorini locali conservati in grappoli per l’uso invernale (ottimi per condire le frise). I pomodori sono raccolti ancora verdi, e uniti fra loro a mezzo spago nella caratteristica pennula un grappolo di 50-70 cm.

Ricotta Asckuante
nel gergo dialettale asckuante sta per piccante; il gusto è piccante ma nel contempo delicato, ottima da spalmare sul pane o sulle frise.

Rosoli
liquori prodotti in casa in maniera semplice e antica, particolare il rosolio di corbezzolo.

Stacchiodde
sono le orecchiette locali, preparate con i “maccaruni” (maccheroni). Le orecchiette si trovano in tutta Europa, ma attenzione alle numerosissime imitazioni e alle produzioni industriali che nulla hanno in comune con le tradizionali orecchiette pugliesi e altosalentine in particolare.

Strascinati
è una pasta fresca che utilizza farina grezza con cruschello (farina integrale per tradurre, ma non proprio esatto). Sono dei bastoncini lunghi 4-5 cm.

Cisternino

Questo grazioso centro è adagiato su una collina interrompendo, con il candore delle sue case imbiancate di calce, il verde intenso della fertilissima campagna punteggiata dai trulli. La splendida cittadina, infatti, occupa una posizione centrale rispetto ai centri di Bari (Km. 80), Brindisi (Km. 50) e Taranto (Km. 40) ed è parte integrante dell’incantevole “Valle d’Itria“, insieme ad altri Comuni, tra i quali: Ostuni, Ceglie Messapica, Martina Franca e Locorotondo. Di origine messapica, Cisternino fu municipio romano con il nome di Sturnium mentre, nel Medioevo, divenne possesso di monaci basiliani. Il centro storico è di caratterizzato dall’aspetto tipicamente orientale delle case con le corti nascoste e le scale esterne di raccordo fra i piani.

Da visitare:
Si può ammirare La Torre di Porta Grande quadrangolare e di età normanno-sveva, che costituiva l’ingresso principale della città, ed in alto sulla sommità, vi è una piccola statua di San Nicola. E’ stata sottoposta nei secoli a vari riadattamenti, l’ultimo dei quali nel 1995. La Chiesa Madre di S. Nicolacostruita nel XIV secolo su di un’ antica chiesa paleocristiana dei monaci Basiliani, è stata più volte rimaneggiata. Al suo interno vi è una scultura di Madonna con Bambino firmata nel 1517 da “Stephanus Abulie Poteniani” (Stefano da Putignano) e meglio nota come “Madonna del Cardellino”. Si ricorda anche il Santuario della Madonna d’Ibernia (Madonna de Bernis): a tre km dal centro abitato. Questo santuario è legato ad una leggenda: sarebbe stata proprio la Vergine, infatti, con una apparizione, ad indicare il luogo esatto dove sarebbe sorto il santuario a lei dedicato. Il terreno attorno è ricco di ceramiche e reperti risalenti ad epoca romana e medievale. In agro di Cisternino, nei pressi della Masseria Ottava si conserva un interessante Dolmen di grandi proporzioni. Alcuni angoli di paese offrono suggestivi scorci ai quali fa sfondo il dolce panorama della vallata. Pur essendo immersa nell’entroterra, Cisternino dista solo pochi chilometri dal Mar Adriatico (Km. 10); dalla cima delle sue colline è possibile dominare con lo sguardo la piana costiera punteggiata da uliveti secolari e antiche masserie fortificate che giungo fino al mare, mentre la vista spazia sino alle alture dell’Albania.

La Gastronomia 
In linea con la tradizionale e buona cucina pugliese, Cisternino offre prodotti gastronomici di qualità. Tra i piatti tradizionali emergono le classiche e ormai famose orecchiette al sugo o accompagnate con le cime di rapa; le fave cotte a purè e servite con le cicorie; gli “gnummeredd” (involtini d’agnello arrostiti sui carboni); il pecorino, il cacio ricotta, la ricotta fresca e il caciocavallo. Si consiglia di accompagnare sempre l’assaggio con del buon vino locale.

Fasano

Fasano sorse intorno al X secolo in seguito alla distruzione di Egnazia e all’esodo della popolazione nelle campagne.
Sfrutta una favorevole posizione geografica, essendo poco distante dal mare e ai piedi della dorsale che rappresenta il primo gradino delle Murge del Sud-Est. Al di là di questo si apre il vasto Canale di Pirro, deliziosa vallata che costituisce una delle più vaste depressioni di origine carsica della Regione.
Il territorio di Fasano ha conosciuto nel corso dei secoli una intensa antropizzazione che ha mutato in parte le caratteristiche ambientali, pur rispettando le sue componenti fondamentali.
Troviamo campi coltivati ad oliveti, frutteti e vigneti, ma anche distese di macchia mediterranea concentrata soprattutto sugli spalti delle lame, mentre in vetta alla dorsale sopravvive ancora la quercia ed il pino. Queste ideali condizioni ambientali e climatiche costituiscono un impareggiabile richiamo per i turisti.
La vicinanza del mare, con le spiagge altamente ricettive di Savelletri e Torre Canne, rappresenta un ulteriore stimolo per coloro che intendono trascorrere una vacanza all’insegna dell’allegria ed in “armonia” con la natura.
Se ciò non bastasse, il territorio di Fasano è in grado di offrire ulteriori stimoli costituiti dagli imponenti e numerosi “segni” lasciati dall’uomo nelle diverse epoche storiche.
Sulla costa procedendo da Monopoli e seguendo la litoranea per Savelletri, è possibile visitare le rovine di Egnazia.
Numerose campagne archeologiche hanno riportato alla luce i resti della città abbandonata e recentemente è stato costituito nei pressi della necropoli un Antiquarium che accoglie materiale didattico- illustrativo e preziosi reperti rinvenuti durante i lavori di scavo.

Un’altra testimonianza dell’intensa antropizzazione del territorio di Fasano è costituita dagli insediamenti rupestri disseminati un po’ ovunque nella campagna, laddove la geologia del suolo permetteva facilmente di operare gli scavi. Tali grotte sono perciò scavate quasi sempre sui gradoni delle lame che tagliano ancora oggi la campagna a testimoniare l’erosione causata dalle acque dei ghiacciai disciolti a seguito dell’ultima glaciazione. I più importanti insediamenti della zona sono: la chiesa-cripta di S. Lorenzo, posta a circa 4 km dal centro abitato sella strada per Savelletri; l’altra di S. Virgilia, la cripta di S. Marco e quella di S. Giovanni.

Fasano per le sue viuzze e per le case in calce bianca presenta i tratti tipici dei centri del sud. Anche le chiese contribuiscono alla scenografia: la piccolissima cappella di Santa Maria della Grazia, la chiesa Matrice di epoca tardo- rinascimentale dedicata a San Giovanni Battista, le chiese di San Nicola, SS.Maria del Rosario, SS.Maria Assunta, Anime purganti, S.Antonio Abate con il suo antico chiostro francescano, San Francesco d’Assisi e San Francesco da Paola. Fiore all’occhiello del centro sono la bianca Piazza Ciaia con i due corsi principali rivestiti in chianca locale, l’Orologio e i sontuosi palazzi, vere ricchezze architettoniche, il Palazzo del Balì (attualmente sede del municipio), l’Arco del Balì e i Portici delle Teresiane (antico convento del XVI sec. adiacente alla chiesa SS.Maria del Rosario diventato oggi una suggestiva galleria commerciale e luogo di ritrovo per tutti i giovani e i meno giovani). Fasano conserva inoltre i resti del tempietto di Seppannibale (lo si raggiunge seguendo la strada per Monopoli, km 7 circa), chiesetta di pianta quadrangolare a tre navate di cui la maggiore è voltata da cupolette su pennacchi. Databile al X secolo è il primo esempio di chiesa pugliese edificata con questa particolare tecnica costruttiva.

A circa 2 km da Fasano si può vivere l’emozione dell’esplorazione dal sapore “africano”: il grandioso Zoo-Safari che ospita una grandissima quantità e varietà di animali che vivono nell’inconsueto scenario offerto dagli ulivi e dalle piante mediterranee.

Da visitare:

EGNAZIA 
Il sito archeologico di Egnazia, inserito in un perfetto contesto naturalistico-ambientale, è uno dei più interessanti della Puglia.
Citata da autori come Plinio, Strabone, Orazio, la città ebbe grande importanza nel mondo antico per la sua posizione geografica; grazie alla presenza dell’importantissimo porto (sul confine tra la Messapia e la Peucetia) e alla Via Traiana, infatti, essa fu attivo centro di traffici e commerci dato che attraversava Egnazia per proseguire in direzione Brindisi.
La storia dell’antica GNATHIA si è snodata nell’arco di molti secoli. Il primo insediamento, costituito da un villaggio di capanne, sorse nel XV sec. a. C. (età del bronzo). Nell’XI sec. a. C. (età del ferro) si registra l’invasione di popolazioni provenienti dall’area balcanica, gli Iàpigi, mentre con l’VIII sec. a. C. inizia la fase messapica che per Egnazia, come per tutto il Salento, cesserà con l’occupazione romana avvenuta a partire dal III sec. a. C. La città entrerà quindi a far parte prima della repubblica e poi dell’impero romano.
Decadde definitivamente e fu abbandonata intorno al X secolo per cause in parte ancora poco note.
Della fase messapica di Egnazia restano le poderose mura di difesa (alte 7 m., lunghe 2 km., delimitano un’area urbana di circa 40 ettari) e le necropoli, ove oltre a tombe a fossa e a semicamera, sono presenti monumentali tombe a camera decorate con raffinati affreschi.
Della città, scavata solo in parte, si conservano le vestigia risalenti alla fase romana. Notevoli i resti della Via Traiana, della Basilica Civile con l’aula delle Tre Grazie, del Sacello delle divinità orientali, dell’anfiteatro, del foro. Ottimamente conservato il criptoportico. Sono presenti anche due basiliche paleocristiane, originariamente con pavimento a mosaico.
Come arrivare
Il MUSEO e il Parco archeologico di EGNAZIA sono raggiungibili dalla Strada Statale 379 uscita Fasano-Savelletri, in provincia di Brindisi.
L’ingresso è sulla litoranea Monopoli-Savelletri.

Orari di apertura
MUSEO
8.30-19.30 (Biglietteria 8.30-19.00)

PARCO ARCHEOLOGICO
Marzo: 8.30-17.30 (Biglietteria 8.30-16.30)
Aprile-Sett.: 8.30-19.15(Biglietteria 8.30-18.15)
Ottobre: 8.30-18.00 (Biglietteria 8.30-17.00)
Nov.-Febbr.:8.30-16.30 (Biglietteria 8.30-15.30)

Per informazioni
Per prenotazione guide: Tel/Fax 080 4827895
E-mail: parcoarch.egnatia@novamusa.it
Servizio didattico: svolge, per scuole di ogni ordine e grado, programmi di approfondimento aventi come tema l’archeologia e le discipline collegate e tiene stages su temi specifici.
Biblioteca: aperta al pubblico durante le ore di ufficio.
Assistenza a studenti e studiosi.
Il Museo è fornito di rampe di accesso per diversamente abili.
Tel. MUSEO: 080 4829056

SELVA DI FASANO 
Sorge a 396 metri sul livello del mare e vi si accede da una strada panoramica che parte da Fasano (sulla Statale Bari- Brindisi) e si sviluppa su un tracciato a tornanti di circa sette chilometri.
Il percorso, che dai 118 metri sul livello del mare arriva ai quasi 400 nel cuore della Selva, è piacevole per il sottostante paesaggio di ulivi secolari, di bassi vigneti e mandorli.
La Selva è disseminata di trulli classiche espressioni dell’architettura contadina, ed ha una vegetazione di querce, lecci, corbezzoli e lentischi. Dominano anche i frondosi carrubi con i loro nodosi tronchi.
Si trova anche qualche grotta naturale; una di queste – Sant’Elia – presenta numerose stalattiti.
Il panorama consente, dall’alto, la vista dell’Adriatico in tutta la sua vastità: vi si scorgono a nord Monopoli, adagiata sulla costa, a sud Ostuni e quindi Fasano, distesa nel fondo valle con le sue case bianche.

ZOO-SAFARI 
Lo Zoosafari di Fasano è il più grande parco faunistico d’Italia ed uno dei più grandi d’Europa ed ospita circa 1.700 esemplari di 200 specie animali diverse. Si estende su una superficie di oltre 140 ettari, di cui buona parte coperta da macchia mediterranea con carrubi ed ulivi secolari. Qui gli animali vivono in assoluta libertà in ampissimi spazi naturali, dove possono avvicinarsi al pubblico solo se e quando lo desiderano.

Come arrivare:
In Aereo:

Aeroporto di Bari a circa 70 km dallo Zoosafari
Aeroporto di Brindisi a circa 55 km dallo Zoosafari.

In Treno:
Stazione ferroviaria di Fasano nella tratta Bari-Lecce (servirsi di autobus di linea per raggiungere il centro del paese: si fa presente che il parco dista circa 2 km. dal centro del paese e che è necessario prendere un taxi dalla Piazza Centrale del Comune o percorrere a piedi il tragitto).

In Auto:

  • per chi viene da nord Autostrada A14 (Adriatica), per chi viene da Napoli Autostrada A16, uscire ai caselli di Bari e percorrere la S.S. 16 in direzione sud fino a Fasano;
  • per chi viene da sud (Lecce-Brindisi), percorrere la S.S. 379 in direzione nord fino a Fasano;
  • per chi viene dalla Calabria o dalla Sicilia, seguire la S.S. 106 (Jonica) in direzione Taranto procedendo per Martina Franca, Locorotondo e Fasano.

ZOOSAFARI
Via dello Zoosafari – Fasano (BR)
Telefono: 080-4414455 oppure 080-4413055

SAVELLETRI e TORRE CANNE 
Savelletri e Torre Canne sono due piccoli centri pescherecci che l’estate si animano fino a trasformarsi in attrezzature e popolose località balneari, per offrire eccellente ospitalità, magnifico mare incontaminato, tranquillità e vicinanza a splendidi luoghi da visitare.
Torre Canne è anche una rinomata stazione termale con le sorgenti Torricella e Antesana le cui acque sono usate per la cura delle affezioni al fegato, delle vie biliari e delle forme uricemiche.

Ostuni

Ostuni, rinomata meta turistica in provincia di Brindisi, si presenta adagiata su tre colli a 229 metri di altitudine e conta 33.000 abitanti. Città di origine messapica (l’antica Stultium ricordata da Plinio e Tolomeo), si sviluppa oggi su tre colli in eccezionale posizione panoramica, distinguendosi tra il verde della campagna per il candore delle case imbiancate a calce e per il contrasto della pietra bruno-rosata usata per alzare i più significativi monumenti. Si può così ammirare il paesaggio in linea con le caratteristiche tipiche degli abitati pugliesi: armonia con il contenuto paesaggistico; stratificazione di diverse epoche storiche che risulta facilmente leggibile dall’analisi urbanistica che mostra la primitiva acropoli messapica cinta di mura in seguito ridisegnate in epoca aragonese; le case terrazzate bianche, con corti interne e strettissimi vicoli all’esterno, di dichiarata tradizione ed ispirazione orientale.
Il centro storico, raccolto in cima a un colle, risulta visibile in lontananza dalla costa, dalla pianura litoranea e dalle colline vicine, donando alla cittadina un aspetto suggestivo.
Il territorio comunale è molto vasto con 223,77 kmq una altitudine da 0 a 380 metri sul livello del mare. Si distingue in due zone ben delineate: la collina, che si spinge sino alla Valle d’Itria (a 10 Km), e la piana di ulivi a valle della città. Il verde degli ulivi termina e si confonde con l’azzurro del mare della marina di Ostuni, che si estende per ben 20 chilometri dal Pilone a Lamaforca, con un susseguirsi di posti incantevoli e spiagge meravigliose.
Ostuni, grazie alle sue innumerevoli risorse storico-artistiche, è inserita in molti itinerari turistici ed è la città conosciuta in tutto il mondo come la “città bianca” per il fascino fiabesco sia del suo centro storico, con le case dipinte di bianco (a calce), che degli stretti vicoli lastricati di “chianche”, ossia bianche “piastrelle” di pietra locale calcarea levigate per ricoprire il fondo delle stradine.
Ostuni dista 11 Km da Ceglie Messapica, 15 Km da San Vito dei Normanni, 12 km da San Michele Salentino, 8 km da Carovigno e 6 km dal mare. Brindisi con il suo aeroporto dista 35 km, Taranto 55 km, Lecce 75 km e Bari 80 Km.

Centro Storico
Nel centro storico si ricordano: la Cattedrale, chiusa e protetta tra le case del borgo antico, eretta tra il 1435 e il 1495 in forme tardo-gotiche, all’interno la chiesa è in stile settecentesco con soffitto piano e cappelle laterali barocche; la piazza antistante il Duomo accoglie il Palazzo Vescovile che ben si armonizza, insieme ad un elegante loggetta ad arcate (1750) con lo scenario offerto dalla chiesa. Poco distante, inglobati nell’Episcopio, vi sono i resti del Castello eretto nel 1198 e demolito nel 1559. Da visitare anche il Museo delle Civiltà Preclassiche delle Murge Meridionali ospitato presso la chiesa, chiusa al culto, di San Vito Martire.
Da segnalare la piccola graziosa chiesa di Santa Maria della Stella del XV sec., restaurata nell’800, si situa lungo le mura con visione panoramica della piana di uliveti e del mare.
Nel borgo antico sono presenti numerosi negozi di souvenir, ristoranti, bar e pub che si concentrano in via Cattedrale e nei vicoli adiacenti; notevole l’afflusso turistico nei mesi centrali dell’estate.
Questa è Ostuni: un ambiente dal sapore antico con un ripetersi di scalinate, archi e piccole piazzette, in un dedalo di viuzze da rendere il tutto magico e fiabesco, con la luce del sole che riflette il bianco delle case e che fa capolino nei vicoli più nascosti.

La Gatronomia
La gastronomia di Ostuni rispecchia lo stile della cucina tipica Pugliese, ricca di sapori antichi che si intrecciano con nuove tendenze, ma sempre nel rispetto della cultura alimentare tipicamente mediterranea.
L’olio di oliva, infatti, è senz’altro il prodotto tipico per eccellenza della zona. I motivi che ne esaltano la qualità vanno attribuiti alle varietà coltivate (Ogliarola Salentina e Cellina di Nardo), al clima ideale, alla natura del terreno, che consentono di ricavare un prodotto dolce al palato e con un bassissimo grado di acidità. L’intero territorio ricade nella D.O.P – olio extra vergine “Collina di Brindisi” – importante riconoscimento ottenuto dalla Commissione Europea nel 1996.
Anche il vino vanta tradizioni di lunga durata: apprezzati sono i vini bianchi DOC quali l’Ostuni e il Martina ed il rosso DOC Ottavianello. Altre produzioni stanche sono rappresentate dal fico e dal mandorlo, adesso in fase di rilancio gastronomico. Nelle zone più pianeggianti della fascia costiera si coltivano pomodori, carciofi e ortaggi dallo spiccato sapore mediterraneo.

Ostuni deve anche ad una favorevole posizione geografica le caratteristiche della sua gastronomia, frutto delle lontane tradizioni della cucina contadina. E’ una cucina vigorosa che attinge dai prodotti del mare e della campagna. All’olio di oliva è affidato il ruolo di condimento fondamentale per la preparazione di pietanze a base di legumi, ortaggi e pasta fatta in casa.
Il piatto tipico per eccellenza è rappresentato dalle orecchiette, le “stacchiodde” al sugo di pomodoro, condito con foglie di basilico e cacio ricotta grattugiato.
Le verdure e gli ortaggi sono i protagonisti assoluti della gastronomia locale, consumati cotti, freschi o conservati sott’olio. Le colture ortive, disponibili tutto l’anno in grande varietà, stimolano la creatività dei cuochi che si esalta nella preparazione di minestroni, minestre, fritture e contorni. Tra i tanti piatti gustosi si segnalano: orecchiette con le cime di rape; fave e cicorie selvatiche; melanzane ripiene al forno; carciofi fritti, arracanati, lessi, ripieni; insalate di lattuga, pomodori e cipolla, condite con olio di oliva extravergine.

Anche la pasticceria è molto apprezzata con le diverse produzioni dolciarie a base di miele, mandorle, ricotta e marmellate; a ciò si aggiungono la frutta secca di mandorle, noci e fichi “maritati” con le mandorle cotti al forno.

Il mare Adriatico, generoso di frutti di mare e di pesce azzurro rende la cucina di pesce ricca e variegata basata sulla elaborazione di prodotti semplici: ricci di mare, vongole, noci di mare, cozze, polpi, seppie, alici, sarde, triglie, merluzzo, sgombro. Si ottengono saporitissimi piatti quali alicette marinate, fritture e zuppe di pesce, linguine allo scoglio, triglie al forno, polpo in brodo con cipolla e da altre prelibatezze.

Nelle masserie della zona collinare interna, invece, sono diffusi allevamenti pregiati, dove si alleva buona parte del patrimonio zootecnico dell’intera provincia. Le carni che si ottengono sono quelle di agnello, capretto, cavallo, coniglio e pollo: con queste si realizzano ottimi ragù, pietanze al forno ed arrosti allo spiedo.
Dagli allevamenti bovini, caprini e ovini, si ottengono, oltre che carni prelibate, anche ottimi formaggi, sia freschi che stagionati.
Di particolare tipicità sono i formaggi ottenuti con latte ovino e caprino, come il canestrate, il cacioricotta, la ricotta forte, che accompagnano molti piatti tradizionali.
In alcune aziende si possono ancora ammirare superbi animali appartenenti a razze antiche come il cavallo murgese e l’asino di Martina Franca, il bovino podolico pugliese, allevati allo stato brado nei boschi di querce e di macchia mediterranea.

La gastronomia locale ha raggiunto oggi livelli altissimi di notorietà sia a livello nazionale che internazionale.
I ristoratori sono stati protagonisti nel valorizzare al meglio i prodotti tipici, ottenuti a partire da ingredienti semplici e genuini, a base di farina, olio, legumi, ortaggi, funghi, erbe spontanee, agnelli, capretti, frutti di mare, pesce azzurro. L’offerta ristoratrice ben diffusa sul territorio – dai centri storici alla zone collinari interne, dalla costa alle masserie agrituristiche – ha innovato sapientemente le tradizioni gastronomiche degli antichi punti di ristoro di una terra di transumanza e delle classiche cantine.

Mottola

Viene definita la “Spia dello Jonio” e anche il “Balcone della Puglia meridionale”. Ha una conformazione circolare e si sviluppa a gradinate verso il centro del paese.
Circa l’interpretazione del toponimo, alcuni studiosi ritengono che l’attuale abitato di Mottola derivi da “altura” o “ammasso roccioso”.
La collina su cui l’abitato sorge (m 387) domina la piana, un tempo malarica, dove si consumò la sconfitta di Pirro nel 272 a.C. ad opera del console romano Curio Dentato; attorni all’elevazione si dispongono le vie gradinate, che formano un impianto circolare. Le antichissime origini sono testimoniate dalle mura megalitiche scoperte in contrada Orto del Vescovo, e la cittadina fu sempre una roccaforte, dapprima dei tarantini contro bruzi e messapi, poi dai normanni nel 1102 e da questi ricostruita, fu angioina e dal 1653 appartenne per due secoli alla famiglia Caracciolo.
Il centro antico, sovrastato dal trecentesco campanile della Chiesa Matrice, fondata nel XIII secolo con impianto a tre navate e rimaneggiata nel ‘500, ha una conformazione circolare e si sviluppa a gradoni verso il centro del paese.
Fuori porta si trovano gli autentici poli di interesse per il turista, basti pensare alle numerosissime testimonianze rupestri che indicano Mottola come uno dei primi agglomerati della Puglia preistorica.
Il territorio di questo comune, come del resto la maggioranza di quelli appartenenti alla Provincia di Taranto, è disseminato di grotte e cavità utilizzate sia come abitazioni sia come luoghi di ascesi dai monaci basilani.
Di particolare interesse appare la gravina di Petruscio, a sud-est dell’abitato, ricca di terrazzamenti utilizzati un tempo per la messa a coltura del terreno prospiciente il burrone e, nella parte più a sud, immersa in un fitto bosco di pini d’Aleppo; in questo scenario si incontra il villaggio rupestre di “Petruscio”, documentato fin dal IX secolo e ricco di grotte.

Tradizioni:
Nel corso della sua storia Mottola si è arricchita di un cospicuo patrimonio di tradizioni, usanze, credenze, feste. Tra le tradizioni religiose di Mottola molto suggestiva è la Settimana Santa (animata dalle cosiddette paranze, confratelli a piedi nudi ed incappucciati), in cui si registra una grande partecipazione di fedeli e visitatori.
Altre tradizioni locali sono “I Sette sabati” che si svolgono presso la cappella-cripta della Madonna del Carmine e che terminano all’Ottava di Pasqua con la consumazione all’aperto di piatti tipici della gastronomia locale; la novena che precede il 14 settembre presso la cripta della Madonna delle Sette Lampade. Tra i festeggiamenti religiosi e civili citiamo quelli in onore di S. Giuseppe, S. Antonio, della Madonna del Monte Carmelo, della Madonna del Rosario e del Santo patrono Tommaso Becket.

Eventi:
Agosto: Sagra della carne

Martina Franca

Elegante cittadina situata a 431 m. di altezza sul livello del mare, adagiata su una delle ultime colline meridionali della Murgia sud-orientale, Martina Franca domina l’incantevoleValle d’ Itria, splendida distesa verde biancheggiante ditrulli, proprio nel punto d’incrocio tra Taranto, Bari, eBrindisi. La maggiore attrattiva della città è senza dubbio costituita dal caratteristico centro storico, splendido esempio di arte barocca, che con le sue stradine, i suoi bianchi vicoli, i palazzi signorili e le maestose e monumentali chiese. Oltre ad un ricco paesaggio punteggiato dalle antiche “casedde”, i famosi trulli, e dalle tipiche costruzioni delle masserie, preziose testimonianze dell’archeologia industriale, Martina Franca gode di un vasto territorio.

Storia
Le origini storiche di Martina Franca risalgono al X secolo, quando sorse sul Monte S. Martino un villaggio per opera di profughi tarantini, fuggiti dalla città per le devastazioni dei Saraceni. Nel 1300 il villaggio venne ampliato dal Principe di Taranto Filippo I d’Angiò, il quale concesse diritti e franchigie a quanti fossero venuti ad abitarvi; da ciò deriva il nome “Franca” del nucleo primitivo. Nel 1506 divenne ducato dei Caracciolo e nel 1529 subì e respinse l’assedio dei Francesi.
Nel 1646 gli abitanti, con a capo un fabbro detto “Capo di ferro”, si ribellarono a conservare il loro feudo sino all’estinzione della casata (1827).
Nei moti repubblicani del 1799, Martina accolse le idee liberali che condussero all’Unità d’Italia nel 1861.
Martina Franca è il trionfo del barocco, che domina in ogni luogo caratterizzando l’architettura sacra e quella civile, con caratteristiche del tutto particolari e diverse dal prototipo leccese; è soprattutto famosa per il suo centro storico in cui si conservano testimonianze di di arte barocca di notevole fattura e bellezza.

Il Centro storico
Il centro storico di Martina Franca presenta un’urbanistica singolare, le case venivano edificate in senso verticale. L’abitazione tipo é formata dal pian terreno dove si collocavano botteghe artigianali, o cantinette, spesso fornite di scale che scendono di uno o più metri sotto il livello della strada. La particolarità delle case pugliesi, a differenza del resto della penisola italiana, sta nel fatto che i tetti sono in stile greco-arabico, cioè piatti e non spioventi. Questo perché il clima pugliese è molto mite, fresco, senza particolari precipitazioni (è raro vedere la neve alta, come è invece accaduto nel 1985). Le poche spiovenze servono per incanalare l’acqua piovana nelle cisterne site nel sottosuolo.
Caratteristica importante del centro storico sono le vie strette e piene di “spigoli”, vicoli ciechi e le strade nascoste: un vero labirinto urbano. Questo assetto, anticamente, presentava un duplice vantaggio: in caso di invasione nemica, infatti era un mezzo per guadagnare tempo durante un’eventuale fuga, o per tendere imboscate ai nemici sfruttando vicoli ciechi e vie “nascoste” o poco visibili. Le vie di Martina Franca presentano una particolare depressione al centro della strada, a differenza delle altre strade moderne che hanno invece il manto stradale a “schiena d’asino”: quando piove, l’acqua piovana scorre al centro strada lasciandone asciutti i lati, senza arrivare alle cantine poste nel sottosuolo. Da un punto di vista architettonico, il centro storico è per lo più in stile barocco, ben visibile nelle chiese (ad esempio la Collegiata, ora Basilica, di San Martino).

Da vedere:
Di particolare interesse si ricordano: la Collegiata di S. Martino(1747-1775), con una fastosa facciata barocca ed un portale sul quale, in altorilievo, sono rappresentati S. Martino e il povero; la Chiesa di S. Domenico (1760), con facciata tipicamente barocca, che custodisce nel suo interno un pregevole tela, la “Madonna del Rosario”, opera di Domenico Carella (1776); i palazzi barocchi (Fanelli, Blasi, Motolese) con caratteristiche loggette adorne di artistici ferri battuti.
Nella triangolare piazza Roma, abbellita da giardini e dalla fontana dei delfini, sorge il maestoso Palazzo Ducale. Nel Palazzo ora ci sono il Municipio e la Biblioteca Comunale “Isidoro Chirulli”. Nelle grandiose sale interne, prime fra tutte la “Sala dell’Arcadia”,dove si possono ammirare fantasiose pitture di Domenico Carella.

IL PALAZZO DUCALE, sede del Municipio
Sorto sui resti dell’antico Castello di Raimondello del Balzo Orsini del 1338, il Palazzo Ducale di Martina Franca viene costruito nel 1668, ad opera dell’ottavo duca di Martina Petracone V Caracciolo, come si evince dall’incisione dell’architrave del portale, simbolo del potere della casata. Un progetto grandioso, imponente e costoso (solo il primo lotto dei lavori costò 60.000 ducati), che si rifaceva a quello dei sontuosi palazzi romani, tanto da essere costituito da 300 camere, cappelle, stalle, corte, teatro e foresteria. In un primo momento il palazzo fu considerato opera di Gianlorenzo Bernini, ma recenti studi storici assegnano la paternità a un bergamasco, Giovanni Andrea Carducci, che avrebbe lavorato su un disegno approvato dal Bernini, avvalendosi dell’arte dei muratori locali, detta della polvere bianca. Il palazzo non fu mai ultimato, così come era stato originariamente progettato, a causa delle ingenti spese; fu solo parzialmente terminato nell’ala orientale per opera del Duca Francesco III nel 1773. La facciata è divisa orizzontalmente da una balconata in ferro battuto, opera di maestri locali, e verticalmente dalle lesene. Il portale, ampio con arco ogivale, contenuto da due semicolonne di ordine toscano, presenta una lapidaria epigrafe Petraconus V – fundamentis erexit / anno DNI MDCLXVIII, decorazioni militaresche e maschere apotropaiche sulla parete superiore. Un ampio scalone conduce al portale barocco, di stile tardo rinascimentale, da cui si accede ai locali dell’appartamento reale. Le dorate pareti rococò, sagomate a orecchio, disposte lungo lo stesso asse, introducono nelle sale preziose fra cui alcune egregiamente decorate a tempera da Domenico Carella nel 1776: la Cappella dei Duchi, la Sala dell’Arcadia, la Sala del Mito e la Sala della Bibbia.

Gastronomia e Tradizioni
Una significativa, per quanto sommaria, panoramica della tradizione gastronomica pugliese, e in particolare di quella martinese della Murgia dei Trulli, non può prescindere da un dato fondamentale: questa è una cucina povera, anche se poi, strada facendo, ci accorgeremo che tanto povera non è.
Questa cucina è il frutto di un intelligente compromesso fra l’irrinunciabile diritto alla propria dignità e l’altrettanto imperiosa esigenza di sopravvivere sfruttando al massimo e al meglio i prodotti più umili – ma non necessariamente meno gustosi – che la terra offriva alla gente del popolo. Altri tempi, altre condizioni di vita, altra consistenza e viscosità di classi sociali, altra tenacia, altra pazienza. Quella che un tempo era “cucina di necessità”, oggi è diventata un lusso, una moda, un paradigma di modernità, una sollecitazione quasi terapeutica o almeno salutista. La cucina murgese è infatti un trionfo di verdura, legumi, pasta; non molto pesce, poca carne, condimenti essenziali tra i quali primeggiano il nostro giustamente famoso olio di oliva e i formaggi di omerica semplicità. Frugali e ripetitivi, gli ingredienti della cucina martinese danno origine a numerosissime ricette dagli straordinari sapori.
Alla base dei piatti tipici ci sono i più classici prodotti della terra: melanzane, pomodori, zucchine, patate, fagioli, fave, carciofi, peperoni, rape, cavoli, cicorielle di campo, i sevoni, le senape, asparagi selvatici (che crescono aggrappandosi ai tronchi degli ulivi o nel più folto delle macchie o ancora negli interstizi dei muretti a secco).
Rinomate sono le fiere e le sagre religiose, numerose soprattutto nel periodo estivo, tra cui molto particolare è la festa in onore dei SS. patroni Martino e Comasia, che si svolge due volte l’anno: l’11 novembre e il 4 luglio.
Dal punto di vista culturale, la manifestazione più importante è il “Festival della Valle d’Itria”.
Oltre per il suo stile architettonico, Martina è anche un paese dalle forti tradizioni folkloristiche e gastronomiche.

Castellaneta

L’antico abitato è posizionato al ciglio di una “gravina”, profonda 145 metri e larga 350, la più grande della provincia di Taranto, nonché una delle più estese dell’intera Puglia.
E’ una delle più grandiose valli pugliesi d’erosione, formata cioè dallo scorrere delle acque torrentizie provenienti dalle Murge. Il suo paesaggio ha un’impronta “dantesca”, per il serpeggiare dei sentieri mozzafiato sul baratro e per l’improvviso aprirsi della spaccatura della terra.
Questa sua caratteristica conferma come la “gravina” sia stata, nel passato, una difesa naturale, onde si spiega l’arroccarsi dei cittadini in questa zona per sentirsi sicuri dell’avanzare dei nemici dei tempi antichi.
Le cavità naturali, utilizzate sia per usi civili sia come chiese-cripte, che si aprono nelle pareti della valle d’erosione rimandano alle origini stesse dell’abitato, delineatosi probabilmente nel X secolo quando i contadini dei vicini casali si ripararono nelle grotte per sfuggire alle incursioni piratesche.
La medievale Castellanetum venne conquistata da Roberto I il Guiscardo nel 1081 (da allora è sede vescovile) divenendo in seguito ducato del Caracciolo.
I quartieri Sacco e Muriello compongono un centro storico di impronta medievale e barocca.

Da vedere:
Pregevole è la Cattedrale che, edificata nel 1220 (lo ricorda il campanile tardo-romanico), fu completamente rifatta nel ‘700 in stile barocco. Nella cappella del Sacramento c’è un imponente altare marmoreo e vi sono anche delle belle tele del pittore pugliese Domenico Carella.
Esistono, infine, ancora resti della costruzione trecentesca: si possono visitare attraverso una scala a chiocciola, posta dietro l’organo.
Nella zona periferica della città, c’è un convento costruito nel 1471 dedicato a San Francesco. Di particolare interesse il chiostro con un antico pozzo sormontato da un arco in ferro stile romanico.
Castellaneta dette i natali a Rodolfo Valentino, nome d’arte di Rodolfo Guglielmi, indimenticabile divo dello schermo, che qui nacque a fine ‘800.

Eventi:
Agosto: Sagra da’ Far’ nedd’ e dei sapori di Puglia

Museo Rodolfo Valentino
La vita pubblica e privata di Rodolfo Valentino è raccontata nel Museo “Rodolfo Valentino”.
Aperto nel centenario della sua nascita, come sorta di riconoscimento per la fama portata alla cittadina: ampio spazio è dedicato alla carriera cinematografica e al mito che per cinque anni aleggiò attorno all’attore pugliese, illustrato attraverso locandine di film, fotografie, riviste italiane e straniere, dischi e le “mitiche” sigarette “Rudolph Valentino” commercializzate negli anni ’20 del XX secolo negli Stati Uniti; meno conosciuta al pubblico è la vita privata, qui narrata, per esempio, attraverso le poesie da lui composte e il commovente necrologio letto da Charlie Chaplin al momento della prematura scomparsa – a soli trentuno anni – dell’amatissimo attore.

Come raggiungere Castellaneta:
ex Convento di S. Domenico – Via Municipio, 19
tel. 099/8492398 – 74011 Castellaneta (Ta)
Ingresso gratuito.

Orari di visite:
Inverno: 10.00-13.00 / 16.00-19.00
Estate: 10.00-13.00 / 17.00-20.00